Barack Obama, da politico a brand

Immagine principale: 
Logo Obama

La foto è tratta da "Officially Unofficial - Inspired Art for Obama Exhibition", Chicago 1 aprile-31 maggio, mostra organizzata dal Chicago Department of Cultural Affairs
 
Nell’ottobre del 2008 il magazine Advertising Age nominava Barack Obama “marketer of the year”, davanti a brand celebri e celebrati come Apple e Nike.
Questo paragone, tutt’altro che metaforico e affatto irriverente, ben si sposa con le numerose analisi che della macchina comunicativa obamiana sono state fatte, tutte volte a sottolinearne la straordinarietà.
Di un “brand Obama”, dunque, si può parlare a tutti gli effetti, dal momento che, nella sua accezione più contemporanea, una marca va vista come un dispositivo narrativo in grado di raccontare, attraverso un linguaggio unico, coerente e distintivo, l’identità di un soggetto e, quindi, l’universo di valori e significati di cui questi è portatore. In altri termini, la trasposizione in simbolo di un’identità è il racconto di una idea di sviluppo e di futuro.
D’altra parte, in un’epoca in cui ogni attività è sempre ricondotta al concetto di relazione umana, una chiara riconoscibilità della propria identità è diventata un imperativo fondamentale.
Questa matrice concettuale trascende il contesto “mercato”, allargandosi anche ad ambiti, come il mondo delle organizzazioni pubbliche e politiche. La comunicazione ha dunque l’obiettivo di creare un punto di incontro ed un momento di scambio, guidando la visibilità del messaggio, assicurandone la correttezza in termini di contenuto e, ancor più, garantendo la capacità di ascolto reciproco.
L’elemento di fondo, al centro del sistema della comunicazione, è proprio la relazionalità. Fenomeni come Youtube o i social network hanno sancito, del resto, un’inversione radicale della logica “broadcast”, a tutto vantaggio di una dimensione fruitiva e partecipativa diretta, che privilegia il “one-to-one” e il “many-to-many”.
Nel momento in cui si rafforza questo punto di vista, cambiano anche le modalità di comunicazione. È cambiato, cioè, il principio di fondo: non esiste più il consumatore perché al suo posto c’è la persona.
A questo proposito, la vittoria di Barack Obama nelle elezioni presidenziali americane può essere considerata un valido esempio di come il paradigma stesso della comunicazione si sia spostato verso la costruzione di un rapporto forte e personale con le persone.
Un approccio completamente cross-mediale e la proposizione di una narrativa identitaria strutturata e al tempo stesso flessibile, ricalcano appieno le regole del discorso di marca, attualizzandolo secondo una chiave di lettura autentica e contemporanea.
Ad una attenta analisi, nello sviluppo del brand Obama, si può notare come ogni elemento contribuisca in maniera decisiva a strutturare un tema identitario che incarna, vive e trasmette i valori dell’impegno, del cambiamento, della speranza, del futuro, della relazione umana. Il territorio della marca si sviluppa intorno ad un “nucleo ideologico”, che attiva una dialettica profonda tra il credere nel cambiamento e il poterlo raggiungere davvero e, cosa che più conta, in prima persona: “Change we can believe in” e “Yes we can”.
È questa la promessa su cui si fonda il discorso di marca del brand Obama, l’essenza stessa della matrice identitaria: una speranza di cambiamento vissuta e declinata nell’esperienza di tutti e di ognuno.
Il linguaggio che dà rappresentazione a questo universo di contenuti/valori viene quindi strutturato come sistema dinamico e flessibile, in grado far fronte alle più svariate esigenze di comunicazione e improntato ad una logica fortemente cross-mediale (da notare, sul sito ufficiale, una sezione “Obama everywhere”, come chiaro esempio della pervasività del brand).
A questo proposito, va detto che la flessibilità del sistema non penalizza la coerenza di messaggio ma anzi la rafforza, dal momento che crea un fertile meccanismo di identificazione e appropriazione da parte di un pubblico vasto e notevolmente vario.
Un segno semplice – la stilizzazione di un sole nascente, su un campo che richiama i colori e le forme della bandiera statunitense, e la tipografia Gotham – viene declinato in modo ricco, a volte anche ironico, sempre in maniera impeccabile. Il meccanismo di endorsement coinvolge tutti: ambientalisti, studenti, sportivi, nativi amercani, movimento delle donne, sino addirittura ai “repubblicani per Obama”. Il marchio viene ogni volta personalizzato, senza tuttavia perdere in riconoscibilità.
Questa libertà applicativa, sorprendente rispetto alla rigidità dei sistemi di identità visiva così come sono tradizionalmente intesi, sottende ad un principio fondamentale: la forza di un brand non risiede solo nel design del suo marchio, quanto nella forza del linguaggio che riesce a parlare e del coinvolgimento che riesce a generare. Anche lo stesso principio di riconoscimento formale va riformulato rispetto ad un dato che è diventato più sostanziale. Un marchio funziona se ha una storia da raccontare, se ha dei contenuti in cui le persone possano riconoscersi, se riesce a far vivere un’esperienza e a creare emozione. È il riconoscere se stessi in un discorso, oltre a riconoscere un colore o una forma, che contribuisce a strutturare il discorso di marca e, quindi, a rendere forte un marchio.
Ed è stato questo il principio su cui Barack Obama e il suo staff hanno incentrato tutta la comunicazione, rivolgendosi ad ognuno in modo diretto e personale, parlando ad ognuno nella sua lingua, generando un’esperienza coinvolgente e operando uno spostamento fondamentale, da una dimensione di customer relationship management ad una di customer-managed relationship.
Ognuno protagonista di una pagina di storia, come spiegato dallo stesso presidente-eletto nel messaggio mandato via email ai suoi sostenitori. Mandato, ovviamente, prima ancora di tenere il discorso ufficiale della vittoria.

 
di Edoardo Salierno
(Brand strategist presso Inarea, si occupa di analisi, strategie di identità e programmi di comunicazione istituzionale e di brand).

Bibliografia per approfondimenti