Mago Merlino e la crisi del talk politico

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Fa riflettere il tweet di Matteo Renzi contro i talk show. Non solo perché facilmente definibile come un’inopportuna presa di posizione di un Presidente del Consiglio iper-televisivo e iper-presenzialista sulla scena del talk, se non come una vera e propria invasione di campo rispetto a Piazzapulita, che a quell’ora, le 22.45 di lunedì 26 gennaio, parlava di Patto del Nazareno e Presidenza della Repubblica. Anche perché ricorda recenti parole di un illustre precedente nel campo della Premiership televisiva. Era il 19 ottobre del 2014, e Silvio Berlusconi dichiarava gli elettori ormai “raggiungibili solo attraverso un contatto personale diretto. Non li possiamo convincere attraverso la televisione, perché non la guardano più”.

 

Non si tratta solo di tracciare facili e semplicistiche analogie. Ma di prendere atto di due fattori, che hanno inevitabilmente segnato il corso della telepolitica in Italia: gli equilibri di potere tra giornalismo televisivo e politica sono sempre più fragili, in funzione di una spinta di entrambi i poli verso un’aggressiva retorica con forti venature populiste (Morcellini, Ruggiero, 2014), e la meccanica tripolare uscita dalle elezioni politiche del 2013 non ha fatto che esacerbare questo conflitto, che non può più muoversi nel comodo binario del bipolarismo. Quando si dice, ad esempio che Renzi sia il più coccolato nei talk show, salvo poi ammettere la sua preferenza per Quinta Colonna rispetto a Piazzapulita, si rivela solo una piccola parte di una realtà molto più complessa: ci sono talk istituzionali che ostentano il loro rispetto della par condicio a costo di sottomettere le proprie regole all’irruenza di Grillo (Porta a Porta, che ha ospitato in rapida sequenza il leader del MoVimento 5 Stelle, l’ex Cavaliere e il Presidente del Consiglio alla vigilia del voto alle Europee 2014) o di creare puntate a “tempi modulari” per ritagliare uno spazio non “estensivo” di presenza ai parlamentari a 5 Stelle (Agorà, ancora una volta in occasione delle scorse Europee). Talk che “coccolano” il Presidente del Consiglio (seguiamo il ragionamento sottotraccia di Scanzi, e inscriviamo in questa categoria Quinta Colonna). Talk che lo attaccano per ragioni di linea editoriale, ben oltre la funzione dello watchdog journalism (è il caso in parte di Piazzapulita, in parte di AnnoUno, certamente de La Gabbia). E qui il ragionamento si separa da quello di Scanzi, perché appunto la logica, anche dell’informazione, non è più bipolarista, ma tripolare, laddove il “terzo polo” intende il proprio ruolo come una radicalizzazione del conflitto contro il Palazzo (non dissimilmente da quanto accadeva ai tempi di Tangentopoli, e della nascita delle prime piazze televisive; Crapis, 2006).

 

Questo nuovo contesto rende particolarmente difficile anche ai leader iper-televisivi di muoversi fra le diverse arene del talk. Per tornare a Berlusconi, Amadori (2002: 93) poteva annoverare tra i segreti del suo successo “Un approccio fortemente ‘centrato su di lui’, come se fosse il conduttore di un programma. Ecco perché tende a evitare i dibattiti, anche televisivi (dove, psicologicamente parlando, sarebbe non più conduttore ma ospite); […] ad adoperare un format stilistico assolutamente uniforme (per esempio lo stesso tipo di doppiopetto, del medesimo colore, e così via); a fare uso di strumenti (grafici, diagrammi, supporti vari) che gli consentono di guidare da protagonista il gioco televisivo. O Mago Merlino, o nulla: questo potrebbe essere il motto del Cavaliere come personaggio televisivo”. Renzi non veste il doppiopetto, e fa un uso molto ridotto di supporti visivi; ma certamente regge la scena da protagonista, da regista dell’interazione, sia con il conduttore che con gli altri ospiti (il più delle volte, giornalisti e non politici). Dunque, è legittimo aspettarsi che anche per lui valga il motto “O Mago Merlino, o nulla”.

 

C’è poi un passaggio ulteriore, ancor più ardito. Sempre Amadori, analizzando il caso Berlusconi, concentrava la sua attenzione sull’importanza dell’uso del sondaggio come strumento di creazione di un artato senso di armonia delle proposte del Cavaliere con i desiderata dell’elettorato: “La fabbrica delle opinioni del sistema berlusconiano […] parte con la rilevazione del materiale semantico utilizzato dalle singole categorie demografiche e psicografiche. Questo materiale, valutato, pesato, sviluppato, ‘ripulito’ e perfezionato stilisticamente, unitamente ai principali bisogni e desiderata individuati nei cittadini, combinato con i contenuti salienti del progetto politico di Forza Italia, prende a fine processo la forma della comunicazione al pubblico” (Amadori, 2002: 102).

 

Vent’anni dopo, la strategia di Renzi non può più basarsi su uno strumento, il sondaggio, che ha perso buona parte della sua presunta capacità taumaturgica (Pitrone, 2012). Sembra allora basarsi su un elemento ancor più impalpabile della pubblica opinione: il senso comune. E nel regno del senso comune, il talk è certamente uno di quei territori difficilmente difendibili in pubblico, uno dei primi esempi (a torto o a ragione) di conclamata necessità di riforma dell’informazione italiana, un bersaglio molto facile da colpire, soprattutto quando si prende la mira da una piattaforma che (ancora una volta, a torto o a ragione) rappresenta il suo opposto. Twitter è un foro aperto di discussione, il talk è un ritrovo per compagnie di giro; Twitter è uno strumento di autentico contatto con gli utenti-elettori nel senso più ampio e democratico possibile, il talk si rivolge a una platea cristallizzata di aficionados che si rivela immediatamente quale conventicola; Twitter è il luogo della comunicazione breve, veloce ed efficace, il talk è il regno della chiacchiera inconcludente. E si potrebbe continuare a lungo sulla via dei luoghi comuni. Ignorando che ogni rete sociale tende a riprodurre il sistema di riferimenti umani e simbolici dell’individuo, che al tweet di Renzi ha risposto (con un assist che ha dato al Presidente del Consiglio la possibilità di portare avanti il ragionamento in termini ancor più radicali) non un cittadino qualsiasi ma un quadro di partito come Davide Ricca, che del tweet di Renzi s’è parlato e si parlerà anche troppo. Ma non è questo il luogo.

 

di Christian Ruggiero