Nella corsa al Quirinale fanno la loro comparsa nomi ampiamente noti alla politica e al grande pubblico (come Giuliano Amato, Romano Prodi, Walter Veltroni, Anna Finocchiaro), ma anche un “insospettabile” outsider: Giancarlo Magalli.
Classe 1947, autore televisivo e presentatore, Magalli è conosciuto per i suoi programmi di intrattenimento in perfetto stile mainstream: una piazza, un Comitato e tante storie da raccontare nell’intimità del salotto televisivo (Ruggiero, 2014b). Eppure, la “colpa” o il “merito” della nomina spettano al web.
“Il Fatto Quotidiano” lancia le "quinarie" online per individuare tra gli utenti della rete il successore ideale di Giorgio Napolitano. Un primo elemento di interesse, che richiama la tendenza del giornalismo, e in ispecie di quello “schierato”, a sostituirsi alla politica, con la differenza che, nello scenario tripolare uscito dalle elezioni politiche del 2013, fra i soggetti ai quali andare a sostituirsi si inserisce anche il MoVimento 5 Stelle, ed ecco che un quotidiano rilancia la battaglia di “scelta dal basso” del Presidente della Repubblica che il blog di Beppe Grillo aveva inaugurato alla prima scadenza di Giorgio Napolitano.
Anche in questo caso, gli oltre 60.000 utenti che hanno partecipato al primo turno lanciato dal “Fatto” individuano diversi esponenti a metà strada tra politica e “società civile”, se non direttamente appartenenti a quest’ultima, trionfante, categoria della comunicazione politica moderna (Prospero, 2013). Il primo candidato è Stefano Rodotà, che con oltre 17.000 voti vede nuovamente prospettarsi davanti ai suoi occhi la sofferta discussione sulla “opportunità” della sua candidatura in seno al centrosinistra (Gilioli, 2014). Dietro ad altri nomi “di peso” come l'ex magistrato Ferdinando Imposimato e il giurista Gustavo Zagrebelsky, ecco spuntare a sorpresa, all'ottavo posto, il Giancarlo nazionale, un candidato che il compianto Enrico Manca avrebbe definito “nazional-popolare”, e senza malignità.
I dieci nomi più votati al primo turno passano al secondo, e quindi ecco che una “finta storia” finita sui “veri giornali” diviene improvvisamente reale. Complice un tamtam che ha fatto velocemente il giro della rete, un susseguirsi di pagine Facebook ed hashtag su Twitter, la grande eco garantita dal Trio Medusa su Radio DeeJay, ed incredibilmente ecco che Magalli si accredita come il più votato dalla rete.Arriva velocemente a 19.000 “web-preferenze”, contro le 12.000 di Rodotà e le poco più di 3.000 di Imposimato. Bruno Vespa, il Tg2, il Tg4, Tg5, Agorà ed una quindicina di giornalisti si affrettano a contattarlo.
Magalli sta al gioco, fino in fondo, elogia l’insurrezione sorridente che lo ha catapultato in brevissimo tempo al vertice dei trending topic di quella rete che continua a votarlo come Presidente del popolo (almeno quello del web) con hashtag quali #magallipresidente e #magallialquirinale. Spiega, anche a se stesso, come "il nostro sia soprattutto un segnale che vogliamo lanciare, con passione ed impegno, per significare a chi di dovere che è veramente ora che qualcosa cambi". Scherza, sostenendo che, se fosse eletto Presidente, la sua prima frase potrebbe proprio essere "adesso mi faccio i fatti vostri"[1].
Da uomo di televisione, intuisce le conseguenze simboliche di questo “gioco”, che è anzitutto un prodotto della iper-spettacolarizzazione del discorso politico, della caduta, dello schianto delle barriere che separano l’uomo di apparato dallo showman. Dimostrando una sensibilità non comune per un personaggio nato e cresciuto nel mainstream, sembra comprendere benissimo le dinamiche che si possono innescare in rete, e il ruolo propositivo che il mix tra informazione e intrattenimento può avere sulla scena politica.
Infatti, come sorprendersi della fortuna improvvisa di Giancarlo Magalli come candidato alla Presidenza della Repubblica del “popolo del web” se si tiene conto del fatto che con “l’avvento del Web 2.0 e delle sue tecnologie sociali, collaborative e soprattutto connettive … i partiti non sono più semplicemente confrontati ala concorrenza di immagini e prodotti più cool e meglio in grado di suscitare l’identificazione di un corpo sociale che predilige la ricreazione all’impegno politico e il carpe diem alla proiezione nei futuri astratti disegnati dalle ideologie storiche; nel nuovo contesto comunicativo, essi devono altresì difendersi dal sabotaggio della propria immagine e del proprio messaggio da parte degli utenti … Le nuove sfere pubbliche che puntellano il cyberspazio … tramite quello che chiamiamo polbusting (politics busting, manomettere la politica), esse dapprima assorbono nel proprio contesto di fruizione il messaggio, in seguito lo decodificano svelandone l’ideologia e smascherandone la finzione, quindi lo riscrivono ridicolizzandolo con sapienza” (De Kerckhove, Susca, 2008, p. 139).
Fin qui, le pratiche sovversive del polbusting hanno preso di mira la politica, hanno rimediato i suoi contenuti e li hanno “rimessi in circolo” nel web dopo un’operazione di ricontestualizzazione volta a rappresentare lo spirito critico del cittadino della rete (pensiamo ai celebri manifesti “taroccati” di Berlusconi del 2001, ma anche più recentemente alla creazione de “L’esercito di Silvio” e alla campagna parallela a quella del Partito Democratico per le Europee 2014), e idealmente a stimolare quello del cittadino dentro e fuori della rete.
Il passaggio successivo, la boutade che diventa proposta “politica” prendendo vita propria, il passaggio dall’intrattenimento alla politica e non viceversa, è in fin dei conti in linea con l’infotainment 3.0 evocato da Mazzoleni e Sfardini (2009). Anzi, è un’ibridazione nell’ibridazione, perché in questo caso non è il comico (Grillo, Greggio, Chiambretti) ad occuparsi di argomenti seri, né è il giornalista (Vespa, Parodi, Cucuzza, Costanzo) a farsi intrattenitore tra gli intrattenitori. È l’intrattenitore a ricevere, seppur per una via quantomai anomala come quella del “trolling”, un mandato che è politico almeno in senso lato, ad essere tentato di interpretare il ruolo che altri “outsider” (Caniglia, 2000) prima di lui hanno assunto, a comprendere che l’ibridazione dei ruoli è a un livello tale da rendere lo scherzo un atto concreto, il segnale di un disagio evidente di quanti, di fronte ai “soliti nomi” della corsa al Colle, non si limitano più a storcere il naso.
di Roberto Cespi Polisiani e Christian Ruggiero