Verso il Quirinale: la strana liturgia della presidenzializzazione

Immagine principale: 

La lettura dell’attuale fase politica come inizio di una fantomatica Terza Repubblica sembra essere messa fortemente in discussione dall’andamento dell’elezione presidenziale in corso. Il clima di opinione in cui si inserisce il voto delle Camere fa infatti pensare, piuttosto, a un colpo di coda della cosiddetta Seconda repubblica che nella sua età tarda consuma una definitiva vendetta sulla Prima. Questo corto-circuito corrisponde all’incrocio di due tendenze ormai consolidate nelle democrazie contemporanee: la mediatizzazione e la presidenzializzazione della politica.

 

Eppure, nelle scorse settimane le forme politico-istituzionali della Prima repubblica avevano riconquistato una certa visibilità. La frammentazione dell’arco parlamentare prodotta dalle recenti elezioni politiche ha ripristinato la salienza delle consultazioni come passaggio cruciale per la costruzione del governo, restituendo vigore alla costituzione formale e alle consuetudini sedimentate negli anni della Repubblica dei partiti (Scoppola, 1997). L’impossibilità per il capo dello Stato di attenersi alla mera ratifica del risultato delle urne ha insomma fatto sì che le consultazioni perdessero la loro connotazione di pletorico formalismo rituale e tornassero a essere un utile momento di negoziazione politica, necessario a superare lo stallo.

 

Dopo anni di democrazia immediata e bileaderismo asimmetrico (Prospero,2012, pp. 44) la rinnovata centralità del parlamento pareva un dato in controtendenza rispetto ai segnali di innovazione emersi nel caos di una “campagna eccezionale” (Morcellini, 2013a) come quella del 24 e 25 febbraio. Per eterogenesi dei fini la combinazione tra la disaffezione antipolitica dei cittadini e i meccanismi farraginosi del sistema elettorale hanno ridato lustro alle pratiche tradizionali della politica. La liturgia repubblicana, intesa come insieme di procedure necessarie a mettere in scena l’interesse pubblico (Genga, 2012, pp. 164-165), era così tornata repentinamente in primo piano, insieme a locuzioni come “governo di minoranza” e “non sfiducia”, rientrate nel lessico della politica italiana.

 

Nel momento della successione a Napolitano, questo imprevisto “ritorno al futuro” della Prima Repubblica evocava il precedente di interminabili elezioni per il capo dello Stato, durate 16 scrutini nei casi di Pertini e Scalfaro, ventuno (Saragat) o addirittura ventitre (Leone). Tempi lunghi legati al necessario assestamento di equilibri interpartitici e correntizi. Le elezioni presidenziali 2013 sembrano risentire anche di potenti fattori esogeni al sistema politico, riconducibili al clima di campagna permanente (Blumenthal, 1982) alimentato dalla spettacolarizzazione delle primarie del centrosinistra, dallo sperimentalismo iperdemocratico del M5S indotto da “parlamentarie” e “quirinarie”. A porre un vincolo esterno al cerimoniale competitivo ha contribuito, da ultimo, l’opinione di Matteo Renzi, secondo il quale “stiamo perdendo tempo”.

 

A premere sul redivivo “regime dominante della lentocrazia”, per riprendere la definizione che Craxi usò nel l’84 al congresso socialista di Verona, sono due principali spinte: accelerare il processo in corso e tenere conto della volontà dei cittadini. In altre parole favorire una scelta immediata, nel senso di veloce e diretta (perché non mediata). Nel senso comune costruito sul fronte mediale dei social network, il criterio della designazione esterna del presidente della Repubblica prevale sul rispetto delle prerogative costituzionali dei grandi elettori. Il grande media event (Dayan, Katz, 1992) celebrato da dirette televisive fiume e commentato sulle piattaforme social, Twitter in primis, costruisce un avvincente “Romanzo Quirinale” in cui la sovranità del parlamento è offuscata dalla volontà popolare di cittadini che rivendicano il diritto naturale di scegliere il “sindaco d’Italia”.

 

Favorendo la percezione del direttismo (Melchionda, 2005) come fonte dell’autorità presidenziale, la narrazione mediale descrive una competizione esposta alle dinamiche della piazza e induce a una lettura impropriamente presidenzializzata del ruolo del capo dello Stato. I fenomeni di presidenzializzazione (Poguntke e Webb, 2005) riguardano, di solito, la personalizzazionedei ruoli istituzionali attraverso l’elezione del leader dell’esecutivo in campagne elettorali candidate-centered. In questo caso non è, ovviamente, in gioco la scelta del capo del governo. Tuttavia, la mediatizzazione della campagna per il Quirinale 2013 pare invocare come suo logico corollario una revisione costituzionale della forma di governo in senso presidenziale, o semi-presidenziale, secondo modelli di democrazia maggioritaria (Lijphart, 2001).

 

In mancanza di una scelta consensuale tra le diverse forze politiche tornano dunque a galla le tendenze che hanno contrassegnato la lunga transizione della Seconda Repubblica. La torsione alla presidenzializzazione e alla mediatizzazione finiscono per rinvigorire gli antagonismi personali tra leader e amplificano l’effetto degli intrighi di palazzo che immancabilmente influiscono sul voto presidenziale. Ne risulta una strana liturgia, dall’andamento erratico, celebrata a cavallo tra piazza e palazzo, tra società politica e spazio pubblico mediatizzato. E mentre la Terza repubblica stenta a nascere e la Prima torna nel cassetto, la Seconda sembra non voler morire mai.

  di Nicola Genga