Conoscere per Deliberare. Tv e sondaggi alla prova delle elezioni 2013

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Quale ruolo dell'informazione televisiva e dei sondaggi d'opinione in quella che per molti versi è stata una campagna eccezionale, e non solo per i risultati restituiti dalle urne? Le elezioni del 2013 hanno stressato molte delle contraddizioni della comunicazione e della politica italiana: la tv elettorale ha riconquistato una centralità che sembrava perduta, ma il miglior vincitore, Grillo, ha saputo condurre una campagna sapientemente fuori del mezzo televisivo; l'uso delle piattaforme di social networking si è fatto più diffuso e consapevole, ma alcuni dei risultati più interessanti vengono da quei contenuti che commentano i più tradizionali talk; l'affidabilità dei sondaggi viene ancora una volta messa in dubbio, ma sembra rimanere intatta la loro capacità di influenzare il risultato elettorale.

In vista del seminario di studio che avrà luogo martedì 16 aprile, alle ore 10.00, presso il Centro Congressi del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale della Sapienza Università di Roma, pubblichiamo una riflessione proprio a partire dall'ultimo tema sopra evocato

 

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L’irresistibile leggerezza dei sondaggi  

Anche questa volta (come in occasione delle elezioni politiche del 2008 e del 2006) i sondaggi elettorali hanno deluso e sono stati criticati; ma probabilmente anche in occasione delle prossime elezioni gli istituti di ricerca saranno chiamati a uno sforzo straordinario per sondare gli italiani fino al giorno stesso del voto.

25 febbraio 2013: qualche minuto dopo le 15 vengono diffusi i primi sondaggi (instant-poll). Il Movimento 5stelle va bene, ma non sfonda la soglia del 20%. Il PD ha la maggioranza alla Camera e al Senato. Gli indici di borsa salgono e lo spread cala. Il mondo esulta: l’Italia avrà un governo stabile per i prossimi 5 anni. Dopo pochi minuti le proiezioni elettorali scatenano il panico: 5stelle veleggia al 25%; l’asse PDL-Lega è avanti al Senato. La borsa e lo spread invertono le loro tendenze iniziali: la prima scende e il secondo sale.

I sondaggi raccolgono le dichiarazioni (di voto nel caso degli instant poll, delle intenzioni di voto nel caso dei sondaggi pre-elettorali) di un campione nazionale di elettori; mentre le proiezioni si basano sui voti effettivamente espressi dai votanti iscritti in un campione (scelto abbastanza oculatamente, a quanto pare) di sezioni elettorali. Alla prova dei fatti, le proiezioni – come nel 2008 e nel 2006 – si sono rivelate più affidabili dei sondaggi. Molti osservatori e commentatori hanno sottolineato che i differenti rendimenti delle due forme di indagine sono strettamente legati alle differenze tra i loro oggetti di rilevazione: comportamenti effettivi (voti espressi) nel caso delle proiezioni, dichiarazioni nel caso dei sondaggi. Chi vota PDL (e, a quanto pare, anche chi vota 5stelle) è meno propenso a dichiarare la propria scelta elettorale (prima dell’esplosione dei sondaggi, qualcosa di simile si diceva a proposito dei voti alla Democrazia Cristiana) rispetto a chi vota PD.

Se le cose stanno così, si pone un paradosso: le proiezioni funzionano, ma hanno un’utilità limitata (servono solo ad alimentare il dibattito tra le forze politiche nelle poche ore che precedono la diffusione dei risultati ufficiali); i sondaggi invece (soprattutto quelli pre-elettorali) potrebbero avere un valore strategico, aiutando i partiti che li commissionano ad orientare – territorialmente e tematicamente – le loro campagne elettorali; ma non funzionano, o comunque si rivelano poco affidabili.

In questo quadro potrebbe essere utile (ri)avviare un dialogo tra ricercatori, studiosi e politici non tanto per riproporre l’ennesima analisi sul fallimento dei sondaggi, ma per rispondere ad alcune domande, assumendo la scarsa affidabilità dei sondaggi e la loro apparentemente contraddittoria proliferazione come presupposti. Quale rapporto tra sondaggi e politica? Sono uno strumento di conoscenza o servono prevalentemente a costruire il racconto (più o meno fedele, ma in tal caso poco importa) di come cambiano le opinioni degli italiani? Cosa possiamo imparare (soprattutto cosa può imparare il centro-sinistra) dai puntuali “tradimenti” dei sondaggi, i quali non sembrano essere un valido sostituto di altre forme più tradizionali e faticose di conoscenza del territorio?

di Fabrizio Martire