Il ritorno della videocrazia

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Neil Postman con il suo Amusing Ourselvest to Death nel 1985, Giovanni Sartori con Homo videns. Televisione e post-pensiero nel 1997 molto più che con il capitolo aggiuntivo sul “Videopotere” nella terza edizione del suo Elementi di teoria politica nel 1995, sono gli esempi più “classici” di come finissimi pensatori abbiano sancito la mutazione antropologica dell’uomo a partire dalla centralità del video.

Il terreno privilegiato per trovare le “prove” di queste teorizzazioni è in entrambi i casi la politica, e una lettura attenta rivela una nostalgia di entrambi gli autori per un tempo in cui la politica era discussione non spettacolarizzata, ragionamento di matrice chirografica e non video ludica; soprattutto, era uno sforzo corale e non qualcosa di riassumibile nella performance di un singolo leader: pur con differente enfasi, il referente dello j’accuse di Postman è Ronald Reagan, quello di Sartori è Silvio Berlusconi.

   

A cosa ha portato il trionfo della democrazia del video? Due citazioni possono essere non solo rivelatrici del sistema di pensiero che sottostà alle opere sopra citate, ma anche della sua attualità.

 

“In televisione i politici sono indotti non già a offrire al pubblico l’immagine di sé, ma a offrire se stessi come l’immagine degli spettatori” (Postman, 1985, p. 159).

 

“La videopolitica tende a distruggere – dove più dove meno – il partito, o quantomeno il partito organizzativo di massa che in Europa ha dominato le scene per circa un secolo (Sartori, 1997, p. 79).

   

Se le elezioni politiche italiane hanno lasciato sul campo un inedito sistema a tre blocchi, il comportamento degli esponenti più “visibili” di ciascuno di questi blocchi va nella direzione di confermare queste profezie.

 

La rimonta del Popolo della Libertà ha avuto, come nel 2006, come colonna sonora l’iperesposizione televisiva del suo leader, che ha investito, anche per interposta persona (quindi per bocca del candidato “ufficiale” Angelino Alfano) su uno dei suoi più tradizionali cavalli di battaglia, l’abbattimento della pressione fiscale, una mossa resa ancor più vincente dalle strategie di superprelievo imposte dal governo dei tecnici nel corso dell’anno precedente.

 

Lo straordinario exploit del MoVimento 5 Stelle ha potuto beneficiare di una copertura in absentia da parte del mainstream, che non ha in fin dei conti fatto altro che evidenziare ancor di più la radicale diversità del movimento di Grillo dall’offerta politica esistente. Diversità che è stata premiata dalla urne, e la cui carica innovativa va ancora una volta nella direzione del superamento della forma-partito (che non viene solo praticata ma agitata come vessillo di battaglia) e della totale sovrapponibilità dell’immagine dell’eletto con quella dell’elettore (che in questo caso viene radicalizzata portando effettivamente in Parlamento “persone comuni”, che pure rappresentano il cast di uno spettacolo il cui copione sembra essere strettamente nelle mani di Grillo e Casaleggio).

 

La “vittoria dimezzata” del Partito Democratico viene da una strategia di scarsa esposizione televisiva, perdente dal momento che per l’intero periodo della campagna gli esponenti del partito, Bersani in testa, in video sono dovuti comparire, ma a giustificare i rapporti della propria forza politica con il Monte dei Paschi di Siena piuttosto che a spiegare la non attuabilità delle promesse berlusconiane. Una posizione scomodissima, molto poco propositiva e tutta in difesa.

   

A oltre un mese dal voto, i soggetti più attivi sono naturalmente il “vincitore dimezzato” e il “vincitore morale” delle consultazioni, il Pd e il M5S. E le strategie di entrambe queste forze sembrano rappresentare un ulteriore vittoria della videocrazia, seppure in forme diverse.

 

Sulla “vecchia” videocrazia investe Matteo Renzi, sconfitto delle Primarie del 2012 e quindi pronto, con (quasi) tutte le riserve che il galateo politico impone, a scendere in campo per il girone di ritorno.

Molto discussa è stata la presenza del Sindaco di Firenze ad “Amici” di Maria de Filippi. Una inconcepibile concessione all’ethos berlusconiano per alcuni, un’intelligente operazione di conquista dell’elettorato televisivo, giovani e donne del Sud, ipotetica terra di conquista per il Pd, per altri. Sta di fatto che entrambe le interpretazioni vanno nella medesima direzione, quella di riconoscere la centralità del mezzo televisivo come strumento infinitamente più forte dell’organizzazione partitica e della necessità per il leader di dimostrare la sua comunanza con l’elettorato che intende conquistare – e infatti Renzi appare come un “corpo estraneo” del Pd, che per progettare la vittoria di domani esce dalle stanze impolverate di Sant'Andrea delle Fratte e fa il suo ingresso trionfale nel tempio della Tv giovanilista.

 

Il MoVimento 5 Stelle, d’altro canto, ottenendo come vittoria più cogente rispetto alla “vecchia” politica di costringere Bersani alle consultazioni in streaming, tesse le lodi di una differente videocrazia, che però non sembra essere così distante da quella tradizionale. Pur imputando all’uomo dall’altra parte del tavolo di favorire un clima tale da “sembrare di essere a Ballarò”, Roberta Lombardi e Vito Crimi hanno recitato un copione che in un talk televisivo avrebbe trovato la sua più congeniale collocazione. Sordi alle parole di Bersani, hanno ribadito l’impossibilità della forza politica da loro rappresentata a dare qualsivoglia fiducia perché le altre forze per vent’anni hanno fatto promesse che non hanno mantenuto, e ora loro, i parlamentari a Cinque Stelle, sono “gli ultimi a potersi sentire responsabili”, in quanto “il risultato di questi ultimi vent’anni di politica, e non la causa”. Nessun riferimento né alla stretta attualità né a quelle scelte vecchie e nuove che fanno del perimetro del Partito Democratico una forma che per alcuni lati potrebbe, e per molti altri non potrebbe, trovare l’incastro con quello del MoVimento 5 Stelle. Nessuna concessione alla retorica dello streaming in quanto strumento per consentire la visione e l’interazione immediata con il proprio pubblico (salvo forse il disperato battere a computer di uno degli esponenti del MoVimento seduto alle spalle di Lombardi e Crimi, con un atteggiamento a metà tra lo stenografo di tribunale e il croncachista via Twitter). Nulla che contraddica l’unidirezionalità del mezzo, il fatto che “nel caso della televisione, la direzione dello sguardo è essenzialmente a senso unico … Perciò dal punto di vista delle visibilità e invisibilità – della possibilità di vedere ed esser visti –, il tipo di pubblicità creato dalla televisione è caratterizzato da una differenza tra produttori e riceventi radicale” (Thompson, 1998, p. 183).

   

Le contraddizioni di queste strategie sono evidenti, le conseguenze poco prevedibili. La concessione renziana alle telecamere dell’impero berlusconiano può essere una scelta vincente per acquistare elettorato in un territorio finora sconosciuto al Pd; ma ogni strategia di conquista deve essere bilanciata da un’adeguata difesa dei territori già sotto il proprio dominio, o rischia di ripetere il peccato di Hýbris dei condottieri più audaci (e più imprudenti) della storia. L’elogio della visibilità assoluta del “partito di Grillo” si scontra, d’altro canto, con la scelta di indire un incontro informale in un agriturismo alle porte di Roma, dentro le mura del quale certamente non è consentito lo streaming, e dal quale proviene invece l’inquietante invito a temere di rivelare troppo sui Social Network come sul Blog del movimento, di fornire materiali a misteriosi e temuti dossier. Elementi che incoraggiano a immaginare una nuova scissione tra pubblico e privato, collocando nel privato incontri informali che potrebbero perfino echeggiare quelle riunioni di ritiro spirituale del maggior partito della Prima Repubblica, durante le quali venivano messi alla prova gli equilibri di potere interni… Todo modo para buscar la voluntad divina

    di Christian Ruggiero