In attesa dell’accendersi della competizione elettorale – che da calendario prevede due campagne per le Amministrative e una per le Politiche tra questo e il prossimo anno – c’è da chiedersi quanto l’understate imposto alla politica italiana dalla gestione Monti avrà effetti sui futuri stili della comunicazione politica.
Due elementi in particolare, a partire dalle notizie di questi primi giorni di febbraio, spingono alla riflessione, in quanto richiamano direttamente i simboli della campagna elettorale più drammatizzata della Seconda Repubblica, quella del 2001 (Pasquino 2002).In quell’occasione, la posta in gioco (Mancini 2003) era la “presentabilità” di Silvio Berlusconi in quanto Primo Ministro della Repubblica italiana, alla luce della mai del tutto chiarita fonte della sua ricchezza personale, delle pendenze giudiziarie a suo carico, dei presunti legami con la malavita organizzata del Cavaliere – tutte accuse lanciate in un’arena non direttamente politica, il programma di Daniele Luttazzi Satyricon, e poi riprese dagli organi d’informazione più “ufficiali”. Come “prova” della possibile indesiderabilità di Berlusconi nello scenario internazionale, la copertina dell’Economist che recitava “Why Silvio Berlusconi is unfit to lead Italy” (26 aprile 2001) ha accompagnato gli ultimi fuochi di quella campagna, ed è di fatto divenuta una sorta di logo per gli avversari politici e “morali” del berlusconismo.
In questi giorni, Time dedica la copertina ad un altro italiano, un Presidente del Consiglio in carica sebbene non a seguito di una votazione popolare: Mario Monti. Eppure, lo staff del Presidente del Consiglio non sembra intenzionato ad inserirsi in quel meccanismo di permanent campaigning che prevedrebbe, anche per un governo tecnico, di enfatizzare le acquisizioni di credibilità a livello nazionale e internazionale continuativamente nel corso di un mandato. Né i suoi detrattori sembrano intenzionati, riproducendo gli schieramenti creati dall’anti-endorsement dell’Economist, ad invocare l’indebita intromissione di una “potenza straniera” nella scena politica italiana.
Sdrammatizzazione della competizione politica e despettacolarizzazione dell’arena televisiva sembrano dunque la cifra comunicativa di questo periodo. Se si tratti di un trend destinato a neutralizzare l’esasperazione comunicativa delle campagna della Seconda Repubblica, o viceversa di un momento di quiete destinato a dare maggior forza alla tempesta della comunicazione politica alla prima occasione di reale competizione, è un interrogativo che sarà sciolto nei prossimi mesi.