Domani è un altro giorno

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Sabato 12 novembre 2011, ore 21.42: il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano annuncia di aver ricevuto le dimissioni Presidente del Consiglio dei Ministri Silvio Berlusconi. La folla che riempie la piazza del Quirinale è in festa, sui social network proliferano tweet, aggiornamenti di status, pubblicazioni di immagini e musiche che inneggiano all’addio del premier, i salotti televisivi si affollano ancor di più di esperti chiamati a rileggere gli ultimi diciassette anni di storia italiana alla luce della debacle dell’ultima settimana parlamentare.

Tre sono gli interrogativi che si aprono. Il pomeriggio del 12 novembre ha segnato un momento di fermento non solo per i mezzi d’informazione, impegnati ad intercettare le opinioni e le mosse del variegato universo berlusconiano in via di sfaldamento ma per un “popolo”, solo in parte della Rete, che ha eseguito una contro-partitura dell’iter istituzionale di transizione. Si è riunita prima alle 18.00 a Palazzo Chigi, dove si svolgeva l’ultimo Consiglio dei Ministri del IV governo Berlusconi, al grido di “dimissioni”. Poi alla Camera, dopo le 18.30, intonando “Bye bye Silvio”. Poi a Palazzo Grazioli, dove l’auto del Premier è stata accolta poco dopo le 19.00 e ancora poco prima delle 20.00 al grido di “Buffone”. Infine al Quirinale, dalle 19.30, dove un’inedita congerie di strumenti a fiato ha improvvisato l’Hallelujah e un sin troppo noto lancio di monetine ha accompagnato la salita di Berlusconi al Colle. Questa folla saprà mobilitarsi con lo stesso entusiasmo quando sarà l’ora, secondo l’immagine neorealista evocata da Franceschini, di ricostruire sulle macerie?

Un governo tecnico è, come ha sostenuto Conchita de Gregorio nel corso dello speciale Ballarò, una sconfitta della politica. Almeno nella misura in cui rappresenta la dimostrazione non solo che il progetto di governabilità del governo uscente non si è dimostrato in grado di reggere la bufera della crisi economica, ma anche che un progetto concepito e portato avanti da una nuova maggioranza, composta in misura variabile da coloro che abbandonano i banchi della maggioranza parlamentare e da coloro che ambiscono ad abbandonare quelli dell’opposizione, non sarebbe in grado di fare di meglio. Dunque, che almeno i posti-chiave dell’esecutivo di transizione è bene siano ricoperti da “tecnici”; una sorta di rinnovata fiducia nei sistemi esperti che la post-modernità credeva di aver spazzato via. Ma è opportuno dare il via a una campagna elettorale, che già di per sé stessa tende a drammatizzare le situazioni e ad esacerbare gli animi, in un momento in cui l’Italia si gioca la sua credibilità agli occhi del mondo e la stabilità della propria economia? Le forze politiche non dovrebbero puntare alla mitica “unità nazionale”, piuttosto che di impegnarsi in una lotta dalla quale uscirebbero dei vincitori il cui onere di vittoria sarebbe inimmaginabilmente grande, e degli sconfitti che potrebbero occupare gli spalti dell’opposizione da spettatori di un naufragio (Blumenberg 1985)?

Infine, ammesso che Berlusconi sia finito, è lecito celebrare, come sembrava intenzionata nel pomeriggio a fare Daniela Santanchè, i funerali del berlusconismo? Nella misura in cui “Berlusconi è stato davvero il simbolo – se non l’artefice – di un radicale cambiamento nelle percezioni e nelle rappresentazioni sociali: il mondo del senso comune, i discorsi politici in poche parole, e persino gli stereotipi e le frasi fatte. Un territorio che è stato certamente dissodato dalla fortuna del massaggio della televisione sulla società” (Morcellini 2010), è lecito ipotizzare un circolo virtuoso di collaborazione tra media e politica per il reale rinnovamento dei primi e della seconda?

di Christian Ruggiero