Il centocinquantenario dell’Unità d’Italia rappresenta uno dei rari casi di cerimonia civile e mediale in cui l’elemento commemorativo sembra essere superato da una rivendicazione di identità e perfino di orgoglio di essere italiani. Al centro di questa congiuntura eccezionale, la figura del Presidente della Repubblica, oggetto di riflessioni parallele sulla cultura civica del paese e sulla via italiana alla presidenzializzazione, presentate la prima sulla rivista Comunicazionepuntodoc e la seconda nel corso di uno dei panel del XXV Convengo annuale SISP.
Sul primo versante, Morcellini (2011) raccoglie una serie di indizi – a partire dal picco di fiducia registrato nei sondaggi da Napolitano negli stessi giorni in cui il governo e il suo premier Silvio Berlusconi perdono credito ora per le polemiche sull’opportunità di istituire una tantum la festa nazionale del 17 marzo, ora per i numerosi “tentennamenti” su una manovra finanziaria lanciata nel nome della “solidarietà” – per presentare due tesi di grande interesse.
La prima: che esista, nel tempo dell’individualismo, un “nervo ipersensibile del paese, che non riceveva impulsi da troppo tempo ma che ha saputo risvegliarsi prontamente” (p. 12) alla chiamata venuta in primo luogo dal Quirinale. Un fiume carsico di sentimento autenticamente politico, pronto ad attivarsi a difesa dei beni comuni – dall’Unità d’Italia all’acqua pubblica – e a smentire almeno in parte le ipotesi di disamoramento degli italiani per la sfera della politics.
La seconda: che questo nervo sia particolarmente sensibile a una chiamata che venga “non dalla politica, ma da un luogo che nell’esperienza degli italiani è vissuto come politicamente più neutro, il Quirinale”, e in particolare da “Giorgio Napolitano, il regista sensibile di questo anniversario, [che] è stato percepito, nonostante la provenienza di parte, come garante del momento di riunificazione e pacificazione culturale” (p. 13). Una circostanza che consentirebbe all’inquilino del Colle di mettere in campo strategie di personalizzazione in grado di rafforzare il suo ruolo politico nella stessa misura in cui quello del Presidente del Consiglio è progressivamente indebolita, oscurata da una permanenza al potere che rende ormai difficoltoso non identificarlo con la politica politicante.
Proprio dall’ideale confronto tra i due Presidenti parte la riflessione presentata da Amoretti e Giannone (2011). A fronte dell’ampissima letteratura scientifica sulle dinamiche di personalizzazione messe in campo dal Presidente del Consiglio, nella figura di Silvio Berlusconi ma anche in riferimento alle tattiche dei suoi avversari per osteggiare o inseguire la fortuna del “partito del Presidente”, le ricerche empiriche sull’attivismo comunicativo del Presidente della Repubblica appaiono decisamente meno ricche, e limitate nella maggior parte dei casi alle performances di cui si è reso protagonista Sandro Pertini e alle “picconate” di Francesco Cossiga. Una lacuna tanto più grave se si tiene conto che, nonostante le forzature istituzionali che conducono, ormai dal 2001, ad apporre il nome del candidato alla Presidenza del Consiglio sulla scheda elettorale, questi non è eletto “direttamente” del popolo ed è formalmente un “primus inter pares” mentre la Presidenza della Repubblica rimane una carica autenticamente monocratica.
Ma il settennato di Ciampi, e l’esperienza ancora in corso di Napolitano, forniscono elementi a sufficienza per avanzare un’ipotesi innovativa. Ossia che, nella sfera pubblica mediatizzata, la figura del Presidente della Repubblica costituisca un punto di riferimento fondamentale, la cui arma principale, l’esercizio della moral suasion, lungi dall’essere neutralizzata dalla svalutazione della tradizione e del principio di autorità su cui si fonda, costituisca una risorsa di grandissima efficacia nella lotta simbolica con la Presidenza del Consiglio. Soprattutto nel momento in cui gli appelli di Berlusconi alla sua legittimazione procedurale (in quanto eletto dal popolo) ed empirica (in quanto vincente nei sondaggi) si fondano su basi sempre più fragili.
A favore di quest’ipotesi, una “prova” particolarmente convincente nell’epoca della pop politics: il fatto che, esaurita in qualche modo la carica propulsiva derivante dal Presidente del Consiglio, la satira trovi spunti inediti ed irresistibili nella figura del Presidente della Repubblica. Crozza docet.