Giovedì 28 aprile si è tenuto presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione, un seminario dal titolo “Le rivoluzioni di Internet? Il ruolo dei nuovi media nella primavera araba”. Le rivolte che hanno infuocato il Maghreb (e non solo) sono state spesso definite “le rivolte di Facebook”, sottolineando in questo modo il ruolo svolto dalle tecnologie 2.0 nella loro organizzazione. Su questa interpretazione si è aperto un ampio dibattito tra entusiasti e scettici riguardo all’apporto dato dai social network alla partecipazione politica (riportato, ad esempio, dall’autorevole rivista Foreign Affairs). All’incontro di giovedì sono stati chiamati a discutere del tema sia studiosi di geopolitica (Roberto Gritti e Giuseppe Anzera, docenti di Sociologia delle Relazioni Internazionali presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione della Sapienza di Roma), sia esperti di nuovi media (Francesca Comunello, docente di Internet Studies presso la stessa Università), affiancati da due giornalisti e analisti delle politiche mediorientali: Zouhair Louassini (Rai News) e Fabio Nicolucci (Università di Malta).
Roberto Gritti ha richiamato l’attenzione, ancor prima che sulle tecnologie, sullo scenario politico e sociale di questa vasta area, sottolineando come sia necessario partire dai dati sociologici sull’istruzione, la disoccupazione, la popolazione per comprendere appieno il motivo scatenante delle rivolte. È toccato, invece, a Giuseppe Anzera entrare nel vivo dell’argomento illustrando le due posizioni contrapposte degli evangelisti digitali e dei tecno-realisti, cioè di coloro che considerano i social media un enorme ausilio per le rivoluzioni rispetto a coloro i quali, invece, considerano il loro ruolo marginale e più utile per gli apparati governativi di repressione.
Rispetto a questa polarizzazione Francesca Comunello ha ricordato la raccomandazione di Henry Jenkins, direttore del Comparative Media Studies Program del MIT, a non contrapporre media mainstream e media grassroot, ritenendoli destinati ad un irriducibile scontro. La questione, piuttosto, diventa interrogarsi sulle modalità con cui i mezzi broadcast riprendono e amplificano l’informazione dal basso, superando anche la dicotomia, ormai sterile, tra on e off line.
Fabio Nicolucci ha riportato numerosi e significativi esempi sul ruolo di Facebook, Google e Twitter nel fare da collegamento alle mobilitazioni, vero punto di forza e di novità in queste rivolte ed inserendo tali analisi nel più ampio dibattito politico che anima l’attuale amministrazione americana, decisamente propensa (soprattutto nelle linea incarnata dal segretario di Stato Hillary Clinton) a favorire la linea della diplomazia digitale, incentivando la diffusione dei social network anche nei paesi più arretrati.
Infine, Zouhair Louassini, pur riconoscendo l’uso strategico del web 2.0, permesso anche dalla distanza generazionale tra il potere (vecchio) e la popolazione (giovane), riconosce soprattutto nell’avvento di al-Jazeera la vera rivoluzione nel panorama informativo arabo. L’influenza del canale satellitare, e di conseguenza, del piccolo stato del Qatar, nella regione sta ridefinendo sia le linee comunicative che quelle politiche, portando spesso ad identificare i giornalisti come veri e propri attivisti.
Il dibattito, animato anche da domande e riflessioni da parte del pubblico presente, non può certamente trovare una risposta definitiva: i processi messi in moto dalle rivolte sono ancora in fieri ed è difficile prevederne l’esito. Le nuove tecnologie stanno ridefinendo i nostri spazi quotidiani e le nostra modalità di vita sociale in modi ancora da decifrare: le due posizioni polarizzate presentate nel dibattito aiutano a chiarire gli elementi ed i confini e preludono, come spesso avviene, ad una ricerca di verità “nel mezzo”.