Obama. Un anno di sfide

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Recensione del libro di Claudio Angelini

Il livello del dibattito e l’attenzione attorno al fenomeno Obama resta alto, altissimo. E’ la prova del fatto che non stiamo assistendo al passaggio di un meteora – tanto affascinante, accattivante e misteriosa quanto rapida nel consumarsi – ma, prima di tutto, al manifestarsi un fenomeno politico di portata storica che supera la dimensione “personale” di questa vicenda, quella dell’emersione di un modello nuovo di leadership.

Tutto questo ci è confermato dal testo di Claudio Angelini - notista politico della Rai, romanziere, ex direttore del giornale radio, volto televisivo.. nonché giornalista in pianta stabile negli Usa da quasi quindici anni – che si intitola “Obama. Un anno di sfide”, edito da Rizzoli. Quando si conclude la lettura di questo testo si rafforza la percezione che si sia assistito – e si stia ancora assistendo – al dispiegarsi di un vero processo politico di cambiamento, comunque vada a finire. Il riferimento non è tanto al tema del “change” obamiano della campagna elettorale, quanto a qualcosa di ben più complesso: l’America, in modo anche contraddittorio ed emotivo, ha reagito alla crisi e alle difficoltà politiche ed economiche innescando un processo di cambiamento politico, sociale, culturale e istituzionale. Il risultato finale non si conosce ancora, ma la sensazione è quella di osservare un inaspettato ritorno della politica quale strumento di attivazione del cambiamento.

E la politica, negli Stati Uniti, ha a che fare con la selezione dei suoi leader e con un processo complesso di costruzione della leadership. D’altronde, è un sistema presidenziale all’interno di un sistema ipermediale. E il testo si apre e si conclude cercando di rispondere alla domanda che un po’ tutti si pongono ancora: chi è veramente Obama? Al principio l’autore ci confessa di aver osservato con disincanto il sorgere della buona stella obamiana, giudicato come un ottimo prodotto mediatico costruito a tavolino ma, tutto sommato, privo di contenuti o quantomeno poco genuino. Le conclusioni, invece, non lasciano spazio a dubbi: “non è una meteora caduta dal pianeta Krypton (il riferimento è a una battuta dello steso Obama al suo essere “Superman”, ndr). Semmai assomiglia a una cometa”. Un’affermazione impegnativa, di grande stima: le comete tracciano la strada, e anche quello di Angelini, in fondo, è un viaggio dentro la grande complessità dell’America di Obama. E l’emersione di quest’ultimo, per l’autore, conferma la capacità di autorigenerazione dell’America, quasi una sorta di capacità collettiva di redenzione della quale Obama rappresenta un punto di caduta (e Angelini, non a caso, dedica molta attenzione agli aspetti religiosi di questa vicenda politica).

Dovendo sintetizzare, Angelini sceglie per Obama la definizione di “The Pragmatist”. Tutti i grandi presidenti hanno avuto il loro soprannome: Ronald Reagan, per esempio, era il “grande comunicatore” (o anche “The Gipper”, il nickname che si portava dietro dai tempi di Hollywood). E Obama è un presidente ambizioso almeno quanto Reagan. Scrive Angelini: “è un’idealista molto pragmatico, un pacifista che non disdegna la scelta militare, un puro che sa fiutare il vento delle correnti e conosce l’arte del compromesso”. E’ una delle letture possibile di Obama, molto condivisibile: c’è da chiedersi se non sia il frutto dell’inconscio di noi europei, che speravamo nel ritorno sulla scena mondiale di un “leader del mondo libero” dai tratti meno marcatamente ideologici, come era stato invece negli anni di Bush e Cheney.

E infatti l’autore dedica ampio spazio al tema della politica estera, che mette al primo punto dell’agenda. E qui, volendo cercare degli elementi di discussione da approfondire nei prossimi mesi, potrebbe nascere il primo punto di frizione con altri “obamologi”, che considerano il nuovo presidente molto più attento e concentrato sulle questioni di politica interna – la riforma sanitaria, la crisi economica, il welfare, la rivoluzione verde… tutti i temi sui quali Angelini approfondisce e racconta vicende esemplari nella seconda parte del libro – piuttosto che su quelle di politica estera. L’autore sceglie l’immagine di un presidente “globale”, piuttosto che quella di un leader da “America first”, impegnato si a ricostruire l’immagine del suo paese nel mondo ma concentrato soprattutto sulla ricostruzione del senso del sogno americano dentro casa propria.

Secondo Claudio Angelini le caratteristiche del “pragmatico e idealista” si condensano in modo evidente nella conduzione della politica estera, nell’idea obamiana della “smart diplomacy”. Un nuovo modello di relazione con il mondo che si basa, in fondo, sul potere della parola (con alle spalle quello della potenza militare, l’hard power più tradizionale): citando il discorso all’Onu e quello già celeberrimo del Cairo del giugno 2009, l’autore mette in evidenza non tanto i successi dell’amministrazione in politica estera – ancora molto limitati – ma lo sforzo, piuttosto sofisticato, di ricostruzione di uno spazio politico di dialogo. La delimitazione di un campo – va sottolineato l’aggettivo, “politico” – nel quale delimitare uno spazio di discussione globale nel quale potersi confrontare con gli attori chiave della politica internazionale. Un approccio a suo modo persino troppo illuministico, ma che rappresenta la premessa essenziale per lo sviluppo di una nuova “politica mondo”, quella che Bush non aveva saputo costruire nei suoi otto anni di presidenza. Comunque la vediate, il testo rappresenta un utile viaggio dentro l’esperienza obamiana: un’esperienza che ha rivitalizzato un modello di azione politica sì pragmatico e accorto, ma basato prima di tutto sull’idea della politica come progetto. E i progetti, se sono solidi, non sono mai delle semplici meteore.

di Mattia Diletti