La voce del padrone?

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Il lungo collegamento telefonico realizzato ieri sera a Porta a Porta con il Presidente del Consiglio rappresenta il climax dell’ultima puntata di uno scontro istituzionale che si alimenta della contrapposizione tra le istituzioni “presidiate” dai residui della “vecchia” politica e il “governo del fare”, che combatte per il suo diritto a portare a termine il mandato ottenuto nell’aprile dello scorso anno.  
Ma segna anche, dal punto di vista dell’informazione politica, un ulteriore passo avanti verso quella che potrebbe essere definita come “lottizzazione trasparente”, che perde molti dei tratti virtuosi descritti da Mancini (2009) in termini di strumento pragmaticamente efficace per garantire un certo grado di pluralismo e “guadagna” la possibilità di divenire pratica non più nascosta ma pubblicamente esibita.
Davanti ad un Vespa che per una frazione di secondo sembra aver perso l’abituale aplomb, il Presidente del Consiglio ha infatti “virato” il corso delle sue accuse verso le istituzioni che lo ostacolerebbero attraverso prese di posizione politiche mascherate da giudizi arbitrali di legittimità costituzionale per riprendere l’invettiva contro l’informazione “partigiana” dell’emittenza pubblica. E ha indicato, di fatto, il programma di Vespa come l’unica fonte affidabile di informazione, l’unico contenitore in cui sia possibile raccontare agli italiani la realtà dei fatti. Analizziamo un passaggio particolarmente significativo: “Non solo andrò in tribunale a presentare le mie difese, ma andrò in radio, sui giornali, in televisione, e esporrò agli italiani la sostanza di questi processi […] Sono deciso, vado avanti, non sono emotivamente coinvolto perché io sono sempre così come sto parlando adesso, forse mi sono stancato di non dire la verità delle cose come mi appare. E siccome noi siamo in una situazione in cui abbiamo questa minoranza organizzata di giudici di sinistra che usa la giustizia per fare lotta politica, una maggioranza della stampa di sinistra con a capo Repubblica che vediamo come si comporta, una Rai che ha, eccetto quella del signor Vespa, tutte le altre trasmissioni di approfondimento che sono di sinistra e che vanno contro il governo, che fanno processi al governo e alla maggioranza, più tutta la satira che è tutta contro il governo, più un capo dello Stato che è espressione di una vecchia maggioranza di sinistra […] e con una Corte che non è più organo di garanzia, ma è organo politico dominato dalla sinistra, noi abbiamo il diritto di dire questo agli italiani, perché sappiano che per fortuna ci siamo noi, qualcuno ha detto, e io ho ripreso la cosa: meno male che Silvio c’è”.

In questo stralcio, oltre a un raro tentativo di sistematizzazione di una strategia politica coerente che fa appello diretto al “popolo” saltando intenzionalmente tutti i canali di mediazione politica o giornalistica, c’è un elemento relativamente nuovo: l’indicazione esplicita del setting più idoneo per mettere in atto una simile strategia. La prima formulazione è molto ampia, in sostanza Berlusconi intende utilizzare “i media” per dare la sua versione dei fatti. In un rapidissimo crescendo, il campo si restringe prima alla televisione, medium elettivo della politica spettacolo (Statera, 1986) e a tutt’oggi campo di battaglia privilegiato del cosiddetto populismo mediatico (Eco, 2006; Musso, 2008), e infine all’unico programma “non allineato” con i “poteri forti” che tessono la loro trama contro il Presidente del Consiglio.
Nel “sorvoliamo” con cui Vespa tenta di interrompere lo sfogo del Premier è legittimo leggere un piccolo sussulto dell’uomo che ha rappresentato la prima “emersione” del fenomeno lottizzatorio, ma in un contesto estremamente diverso. È il 1992, e alla luce della deludente performance della Democrazia Cristiana alle recenti elezioni politiche, il repubblicano Giorgio La Malfa attacca un Vespa allora direttore del Tg1 per lo scarso equilibrio nella copertura offerta ai diversi partiti in campagna elettorale, denunciando in sostanza la sovrarappresentazione della DC come un investimento sbagliato e concludendo con una battuta memorabile: “onorevole Vespa, lei è stato sconfitto come l’onorevole Forlani. Se ne deve andare!” (in Crapis, 2006). Da quella battuta, e dalle successive polemiche, emerse con inedita chiarezza il ruolo del partito democristiano come “editore di riferimento” della testata giornalistica del primo canale RAI. Ma era un momento di crisi, di riassetto politico che conteneva le prime “scosse” di quel movimento tellurico che sarebbe stato Tangentopoli. Oggi, appaiono meno chiare le ragioni di quest’ulteriore accelerazione nella visibilità dei meccanismi sottostanti i rapporti tra politica e informazione.

di Christian Ruggiero