Nonostante il ritardo con il quale si affaccia sul piccolo schermo, il “Citizen Berlusconi” visto in prima tv ieri sera sul canale satellitare Current riesce ancora a conservare l’attualità del proprio messaggio. L’Italia del 2003, che Freccero descriveva come pervasa dal format “vestito e sorriso” e da una tv ormai ossessionata dall’espansione del fatturato pubblicitario, pare appartenere allo stesso orizzonte metatemporale di quella odierna. Se calcio e media restano un appassionante diversivo nelle mani dell’uomo del fare, se la dimensione della festa, con qualche chiaroscuro, campeggia ancora al centro dell’immaginario politico, il pressante imperativo del galleggiamento e dell’opaca conservazione incombono sull’eldorado del Berlusconi di governo, oggi come allora. Così, il documentario prodotto da Stefano Tealdi con l’emittente Usa Pbs, insieme a sei reti pubbliche europee, finisce per sfuggire all’intenzione registica di Susan Gray, deragliando da ’”inchiesta sul lavoro di giornalista” ad antologia del berlusconismo e del suo contrario. Da Travaglio a Furio Colombo, da Paul Ginsborg a Tana de Zulueta, tra “Odore dei soldi” e schiamazzi nel tribunale milanese, sfila l’eterno presente del cortocircuito politico mediatico. A sei anni di distanza non tutto, naturalmente, resta cristallizzato : il Lodo Maccanico-Schifani riecheggia, sì, nel Lodo Alfano, ma la piazza Montecitorio gremita dai girotondi nel 2003 si volatilizza nel deserto di Cittadinanzattiva nel 2009, come ci mostra il mini reportage “Parzialmente liberi”, trasmesso in appendice. Qualunque sia l’esito della transizione italiana il lapidario giudizio di Giovanni Sartori suona efficace quanto impietoso. Paragonato all’emulo Silvio Berlusconi, il Charles Foster Kane di Orson Welles assomiglia a “una pulce…nothing”.
di Nicola Genga
(dottorando di ricerca in Linguaggi politici e comunicazione. Storia Geografia e Istituzioni nel Dipartimento Sociologia e Comunicazione della Sapienza Università di Roma)
Immagine: Filmscoop.it