Nella foto il manifesto pubblicitario del film "Forza Italia!" di Roberto Faenza (fonte ArciMilano).
Roberto Faenza, regista e sceneggiatore, ha pubblicato nel 1977 il film-documentario Forza Italia!, definito nella quarta di copertina del libro allegato al dvd (edito da Rizzoli) "antesignano del cinema di satira italiano, un ritratto comico ma allo stesso tempo crudele della lunga egemonia democristiana sulla politica nazionale: dal massimo fulgore alla degenerazione e crisi. Nello stile reso popolare anni dopo da Blob e da Michael Moore, Faenza propone un racconto esilarante a partire dal montaggio di filmati tagliati a spezzoni ripescati negli archivi dell'Istituto Luce e delle principali televisioni europee. Uscì nel gennaio del 1978, suscitando violente polemiche, ma venne ritirato dalle sale il giorno del rapimento di Aldo Moro. Da allora sparì dalla circolazione. Dopo molti anni di visibilità, arriva in libreria la versione integrale in DVD, con un libro che ne traccia la lunga ed appassionante vicenda, con una introduzione di Gian Antonio Stella, i saggi di Roberto Faenza e Paolo Mereghetti, le preziose testimonianze di Marco Tullio Giordana, Antonio Padellaro e Carlo Rossella".
Che cosa ricorda del clima sociale e politico che la spinsero a realizzare il documentario Forza Italia! ?
L’idea del film arrivò a metà degli anni ’70. Alle elezioni del 1975 la sinistra aveva fatto un forte balzo in avanti e si respirava un’aria da fine “regime”, così allora veniva sentito il periodo del dominio democristiano. Insieme a un gruppetto di cineasti e giornalisti (Marco Tullio Giordana, Marco Bocca, Antonio Padellaro e Carlo Rossella, coordinati da una donna di rara forza e intelligenza, la produttrice Elda Ferri) concepimmo l’idea di costruire un affresco sui trent’anni del potere Dc, dalle storiche elezioni del 1948 sino ai giorni nostri (di allora). Cominciammo a scrivere una sceneggiatura, che era una cavalcata irriverente sul paese Italia, i suoi tic, le sue deformazioni e, soprattutto, il suo malessere politico. Dopodichè, ci mettemmo alla ricerca dei materiali, filmati, interviste, brani di repertorio, spezzoni televisivi… che potessero imbastire cinematograficamente quanto avevamo scritto nel copione. Fummo fortunati perché non solo trovammo quasi tutto ciò che avevamo immaginato, ma anche molto di più: ad esempio la famosa telefonata (talmente grottesca che ancora oggi molti credono sia stata “doppiata”) in diretta tra un ministro e il presidente del consiglio, piena di scurrilità e cinismo.
Quale fu la sua reazione e quella dei suoi colleghi alla censura?
Non avevamo calcolato che l’Italia di allora era ancora un paese fortemente illiberale, né potevamo sapere che l’alleanza in nuce tra Pci e Dc, l’avverarsi cioè dell’abbraccio ipotizzato da Berlinguer con la teoria del compromesso storico, avrebbe reso ancora più strette le maglie della libertà di espressione. Un primo avviso di quello che sarebbe successo, fu l’invito di Maurizio Costanzo a parlare del film nella sua trasmissione Bontà Loro. Poche ore prima della messa in onda arrivò lo stop dall’alto della dirigenza Rai e l’invito fu cancellato. Sulle incredibili censure che vennero dopo, sino al ritiro del film dalle sale cinematografiche il giorno del sequestro Moro, racconta tutto un libretto pubblicato dalla RCS nel 2007 accompagnato alla prima edizione in dvd del film, con una introduzione di GianAntonio Stella.
Nel suo libro, allegato al dvd, afferma che i media principali (stampa e televisione) contribuirono all’esclusione del film dalle sale, non parlandone più, tantoché lei venne anche “bandito” dalla Rai per 15 anni. Cosa ricorda di quei fatti?
Molto semplice, a parte che a ogni tentativo di intervista seguiva prima o poi un diniego, specie in Rai. Ricorda un redattore che sulla sua proposta di intervistarmi il capostruttura aveva scritto in rosso “Faenza no!”. Ma questo è il meno. Il peggio era che poiché i film si possono realizzare (in Italia è così) per lo più solo se esiste una prevendita televisiva, ogni mio progetto veniva cassato per mancanza di partecipazione televisiva. Ho avuto la fortuna di potermi avventurare verso progetti stranieri e grazie alle coproduzioni ho potuto ricominciare a lavorare. Devo anche lamentare una totale assenza di solidarietà, non soltanto da parte delle associazioni cinematografiche, ma anche da parte di quei giornalisti di settore e critici che erano stati ferventi paladini (giustamente) contro le censure cinematografiche ad alcuni film bollati per pretestuosi motivi “erotici”. Evidentemente le censure di tipo politico li ispiravano di meno.
Cosa pensa della censura al film Shooting Silvio? Quali sono le cose in comune con il suo film?
Non l’ho visto e dunque non saprei che dire. Quale sia stato il tipo di censura non può che essere esecrata. Non dimentichiamo però che oggi in Italia c’è uno strumento ancora peggiore, quello dell’autocensura, praticata quasi ogni giorno da autori e produttori, i quali temendo che certi progetti non vengano finanziati (né dalla televisione, né dallo stato), neppure li propongono. E’ la ragione per cui il cinema italiano, fatte le solite eccezioni, è così poco coraggioso.
Leggendo le recensioni negative nel suo libro sembra di sfogliare alcuni giornali di oggi, se non gli stessi, su questioni che riguardano i poteri forti. Dato che la stampa sembra non cambiare, il cinema politico o “impegnato”, è cambiato? Se sì, in meglio o in peggio?
Nulla è uguale al passato. Oggi grazie a internet possiamo leggere e scrivere di tutto. Ma solo perché non costa. Se però parliamo di film, i cui costi di produzione sono nella maggior parte dei casi non poco elevati, allora le cose cambiano e le possibilità di esprimersi liberamente si restringono. Ripeto: la stragrande maggioranza delle pellicole prodotte in Italia sono finanziate o dalle televisioni o dallo stato. Non occorre aggiungere altro.
Lei, sulle orme di Jean Vigo, con Forza Italia! ha ideato in Italia un genere, quello dei documentari politici in chiave satirica, ripreso in parte anche da Michael Moore. Che differenze ci sono al giorno d’oggi, secondo lei, tra il cinema politico (o impegnato) negli Stati Uniti e quello italiano?
In America conta solo il mercato: se quello che fai produce soldi, nessuno ti può fermare. In Italia prima del mercato, c’è il potere. E il potere, come diceva un allievo di Freud, Cremerius, “non ha ali candide”.
Il nostro cinema sembra trattare più che la politica, la “malapolitica”. Si pensi a Il Divo, Il Caimano e lo stesso Vincere. Perché?
Qualcuno in Italia ricorda un periodo di “buona politica”? Dai tempi dei Vicerè nessuno scrittore e tantomeno un regista ha potuto raccontare ciò che non esiste. A meno di realizzare un’opera di pura fantasia o fantascienza. Nessuno ancora ci ha pensato. Chissà…
Perché, ad esempio, non si fanno film “positivi” sulla politica italiana? Un esempio potrebbe essere il fatto che in Italia vi è sempre la maggiore partecipazione di elettori alle urne rispetto al resto d’Europa.
Mi sembra un po’ pochino. Il male poi interessa sempre più del bene. E’ vero però che ci sono esempi che andrebbero seguiti con più attenzione, ad esempio le associazioni del volontarismo, certi preti antimafia, i medici senza frontiere, Gino Strada…
Cosa pensa del successo di Gomorra e de Il Divo? Possono davvero aiutare a cambiare qualcosa dei temi che trattano?
Soprattutto Il Divo mi sembra un film di notevole interesse e coraggio, forse più per il linguaggio usato che per la tematica, alla fine un po’ troppo assolutoria del personaggio Andreotti (non condivido le critiche di chi lo accusa di essere addirittura apologetico). Tuttavia non mi sembra che questi due meritati successi abbiano aperto un nuovo solco, né fatto breccia sul sistema produttivo tutto sommato “ingessato” cui accennavo prima.
Che cosa pensa delle fiction italiane che trattano temi importanti romanzandoli, come le storie di Enrico Mattei e Bernardo Provenzano o le vite di Giovanni Falcone e Giuseppe Borsellino?
Giancarlo De Cataldo in un incontro che ha avuto con gli studenti del mio corso, presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione della Sapienza di Roma, ebbe a dire che la fiction italiana è ferma agli anni Cinquanta. Nel senso che ritrae un paese inesistente, edulcorato, conformista e cloroformizzato. Condivido in pieno questa osservazione. Messa a confronto con la fiction di oggi made in USA, la nostra appartiene a un mondo irreale, fatto per lo più di santi, papi, carabinieri e poliziotti indomiti, eccetera eccetera. I dirigenti televisivi si sono così appiattiti su questo genere che neppure qualche prodotto difforme riesce a lasciare il segno. Dal canto suo Sky sta praticando formule più coraggiose. Speriamo che ne derivi qualche scossone alla fiction generalista.
Il cinema può diventare il cane da guardia della politica come dovrebbe esserlo il giornalismo?
Finchè il sistema di finanziamento al cinema è quello che è, il cinema italiano sarà sempre un cinema poco coraggioso, intimista, generico e commediolo. I produttori non rischiano perché non trovano finanziamenti fuori dalla televisione e dai sussidi di stato. Di conseguenza sceneggiatori e registi sanno di non poter presentare progetti di rottura.
Qual è il futuro del cinema politico italiano?
Le considerazioni di cui sopra non sono tra le più ottimiste. Tuttavia poiché nulla è immobile e tantomeno certo, vale sempre la pena sperare in un cambiamento.
Roberto Faenza
Regista e sceneggiatore, è professore associato di "Teorie e Tecniche del Linguaggio Cinematografico" e "Teorie e Tecniche della Regia Cinematografica" nella Facoltà di Scienze della Comunicazione alla "Sapienza" Università di Roma.